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L’Esorcista: tra cinema, antropologia e fede

Il demone è bugiardo, mentirà per confonderci.

E alle menzogne mescolerà anche la verità.

 

Di Matteo Cafarelli e Giulia Fabris

 

 

In occasione del cinquantesimo anniversario dall’uscita di The Exorcist, lo scorso 23 novembre si è tenuto nel Plesso Santa Marta dell’Università di Verona un seminario di studi intitolato L’Esorcista: tra cinema, antropologia e fede a cura di Alberto Scandola, docente di Cinema e comunicazione audiovisiva dell’Ateneo. Diventato un capostipite del genere horror, il film ruota intorno la figura di Regan, una giovane ragazza posseduta da un’entità malefica. Dopo una lunga consultazione con i medici, la madre decide di rivolgersi a un prete esorcista, con l’obiettivo di combattere e sconfiggere la creatura demoniaca.

 

 

L’incontro è iniziato con un excursus sull’origine del prodotto cinematografico e su alcuni aspetti tecnici dell’opera del regista William Friedkin, effettuato dal professore Leonardo Gandini, docente di Storia del cinema presso l’Università di Modena. The Exorcist è tratto dall’omonimo romanzo pubblicato da William Peter Blatty nel 1971. Friedkin utilizza l’opera di Blatty per sovvertire il genere horror cinematografico. La scelta della città di Washington come luogo principale della narrazione rappresenta una risposta critica ai film hollywoodiani precedenti, che celebravano la vita spensierata e anticonformista. Gandini sottolinea come la città, notoriamente conosciuta come simbolo morale degli Stati Uniti, si riveli l’habitat perfetto per la prosperità della creatura demoniaca. L’unione della protagonista Regan con il demone rispetta la tradizione del concetto di fusione, tipico del genere horror. Ciononostante, il sovvertimento si riconferma nel duello finale, il cui sconvolgimento risulta in linea con un periodo di rivisitazione storica dei generi del cinema.

 

 

Il microfono è passato a Marianna Lucia di Lucia, dottoranda al primo anno di Filologia, Letteratura e Scienze dello Spettacolo all’Università di Verona, che ha fornito una lettura in chiave femminile al film. L’approccio presentato si basa sul lavoro di Barbara Creed, una tra le prime studiose a occuparsi della presenza della donna mostro (o donna come mostro) nel genere horror, e Julia Kristeva, semiologa e psicanalista impiegata nel campo del femminile. Centrale nell’analisi risulta l’abiezione che assume l’aspetto della possessione demoniaca, rappresentata sotto forma di ribellione della carne femminile: a essere in rivolta è il corpo della piccola Regan che rifiuta di separarsi dalla madre Chris. Il passaggio è evidente nella sequenza in cui la bambina domanda se al suo compleanno sarà presente Bruke Dennings, regista con cui Chris sta lavorando, manifestando un sentimento di gelosia nei confronti dell’uomo e cogliendone un elemento di ostacolo per consentire la fusione con la madre. Il tema centrale torna nella rimozione dei fluidi corporei: rilevante è la sequenza in cui Regan si trova rannicchiata in posizione fetale nella vasca da bagno – possibile ritorno alla realtà uterina – mentre Chris la pulisce, in un gesto d’unione madre-figlia. Nel quadretto creatosi, manca un terzo elemento paterno che potrebbe consentire la scissione, e quindi si dà luogo alla fusione, che determina appunto la possessione demoniaca.

 

 

L’argomento è approfondito storicamente da Federico Barbierato, professore associato di Storie Moderne presso l’Università di Verona. Sebbene il silenzio sul tema e i numerosi tentativi di censura da parte della Chiesa, a partire dal XIV secolo gli esorcisti hanno svolto il proprio mestiere all’interno della società: la possessione dopotutto non è mai stata prerogativa esclusiva dell’ambiente cristiano, difatti consiste in un concetto alquanto presente in quasi tutte le culture. L’intervento è proseguito con alcuni esempi di possessione tra il Settecento e l’Ottocento. Indipendentemente dall’esito degli avvenimenti, con l’esemplificazione si dimostra che l’argomento sia un meccanismo che chiama in causa tante questioni complesse. Barbierato ha tuttavia concluso che il problema è la sofferenza degli individui: da questa dovremmo ripartire nel momento in cui trattiamo questo tipo di fenomeni.

 

L’incontro è terminato con la presa di parola di Monsignor Silvio Zonin, docente di Teologia liturgica dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Verona, e ministro della consolazione. Il suo atteso contributo ha portato alla conoscenza di un caso particolarmente impegnativo e serio, così come definito dall’ospite: a metà 2018 venne a conoscenza di una ragazza estera la cui condizione non si considerava patologica. Attraverso alcuni messaggi, l’allora ventitreenne scrisse di avere consegnato liberamente la vita al Lato oscuro in età adolescenziale, secondo un rito trovato in Internet: implicitamente, Zonin comprese che alla base di quanto appreso si trovava un problema esistenziale profondo, una voragine affettiva causata da abusi e umiliazioni, che hanno portato la giovane a perdere la propria identità, non riconoscendo chi fosse.

 

La segnata voce narrante si è tranquillizzata nel ricordo di un dettaglio durante l’esorcismo: la ragazza gli fece un sorriso, indice che qualcosa stava effettivamente cambiando. Segno che entrambe iniziavano a vedere una via d’uscita e una speranza: quella che, credenti o meno, muove il percorso di ogni individuo.

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