oscar – Fuori Aula Network https://fuoriaulanetwork-web.azurewebsites.net Fri, 10 May 2024 21:51:26 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.2 Non chiederci la parola: artisti del silenzio https://fuoriaulanetwork-web.azurewebsites.net/2024/04/11/non-chiederci-la-parola-artisti-del-silenzio/ https://fuoriaulanetwork-web.azurewebsites.net/2024/04/11/non-chiederci-la-parola-artisti-del-silenzio/#respond Thu, 11 Apr 2024 12:00:12 +0000 https://fuoriaulanetwork-web.azurewebsites.net/?p=7695 Continua a leggere Non chiederci la parola: artisti del silenzio]]>

“Non parlerò, non dirò una parola!”

 

Di Matteo Cafarelli

 

Questa è la prima didascalia che appare su schermo e rappresenta il vero e proprio inizio di The Artist, film del 2011 diretto da Michel Hazanavicius. Giovedì 4 aprile 2024 si è tenuto infatti il secondo incontro della rassegna cinematografica dal titolo Non chiederci la parola, organizzata dal critico Giancarlo Beltrame e svoltasi al Teatro Scientifico-Laboratorio di Lungadige Galtarossa 22 a Verona. 

Se il film di Mel Brooks proiettato lo scorso marzo, L’ultima follia di Mel Brooks, consiste in una commedia satirica sull’innovazione del sonoro, questo pluripremiato film di Hazanavicius è un melodramma romantico, pregno di citazioni e caratteristiche tecniche del cinema muto del primo ventennio novecentesco.

 

Michel Hazanavicius, come descritto dallo stesso Beltrame, è un regista francese di origini lituane e ascendenze polacche. La propria attività inizia alla fine degli anni Novanta con un film realizzato esclusivamente per la televisione denominato La Classe américaine. Un grande montaggio di spezzoni ricavati da altri film, tutti prodotti dalla Warner Bros, dove gli attori e i loro personaggi passavano di storia in storia attraverso dei dialoghi e delle scene intelligentemente collegate tra loro. Dopodiché dirige due pellicole parodistiche di OS 117, popolare personaggio spionistico francese ispirato all’Agente 007 di Ian Fleming 

Nel 2011 torna alla regia con questo film, dove decide di dedicare una sorta di lettera d’amore alla storia del cinema, in particolare al periodo del cinema muto. La trama è relativamente semplice. Hollywood, 1927. George Valentin, interpretato da Jean Dujardin, è una star del cinema muto che si trova ad affrontare il proprio declino artistico a causa dell’avvento del sonoro. Dall’altro lato, troviamo Peppy Miller, interpretata a sua volta da Bérénice Bejo, una giovane comparsa che sta per diventare una diva. La storia si incentra sul loro incontro, sulla nascita di un nuovo amore e sugli ostacoli provenienti dalla vita e dall’orgoglio del celebre Valentin che si pongono di fronte al loro cammino. 

 

Come testimoniato dal commento di Beltrame, Hazanavicius rispetta appieno il genere del melodramma, compiendo tuttavia tre importanti rinunce rispetto al cinema contemporaneo. La prima riguarda la parola, presente solamente alla fine del film. La seconda concerne il colore, assente persino alla fine della pellicola, poiché il film è stato prima girato in colore per poi esserne totalmente privato. La terza e ultima rinuncia e peculiarità consiste nella risoluzione schermo, ridotta ai minimi attraverso l’utilizzo del 4:3, il celebre formato fondamentale per la nascita del cinema. 

 

Durante la visione del film, si notano particolari chicche registiche di Hazanavicius, che non tralascia alcun dettaglio visivo. Particolarmente d’impatto la scena a metà film, dove Valentin e Miller si incontrano negli studi cinematografici. Per rappresentare i percorsi inversi intrapresi dai due personaggi, il regista li pone su una scala, comunicando così con astuzia i concetti di ascesa e declino. 

Una pellicola che trasuda di affetto e amore verso la settima arte. L’ennesima prova di un artista come Hazanavicius, capace di esprimere i suoi messaggi senza il minimo ricorso al suono della voce. La ripercussione della storia del cinema muto nella cinematografia contemporanea continuerà con il terzo e ultimo incontro di questa rassegna. Vi aspettiamo giovedì 2 maggio per la proiezione di Moebius di Kim Ki-duk (2013), al Teatro Scientifico-Laboratorio in Lungadige Galtarossa 22. 

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Paradiso e inferno in “La Zona d’Interesse” https://fuoriaulanetwork-web.azurewebsites.net/2024/03/25/paradiso-ed-inferno-in-la-zona-dinteresse/ https://fuoriaulanetwork-web.azurewebsites.net/2024/03/25/paradiso-ed-inferno-in-la-zona-dinteresse/#respond Mon, 25 Mar 2024 15:00:30 +0000 https://fuoriaulanetwork-web.azurewebsites.net/?p=7515 Continua a leggere Paradiso e inferno in “La Zona d’Interesse”]]>

 L’aria, l’elemento più democratico che ci sia, in questo film è irrespirabile

Di Matteo Cafarelli.

 

Esistono tanti prodotti e letterari e cinematografici, che trattano la terribile storia dell’olocausto e dello sterminio degli ebrei da parte del movimento nazionalsocialista tedesco tra gli anni Trenta e Quaranta. Uno dei più conosciuti è sicuramente Schindler’s List (1993), il celebre dramma diretto da Steven Spielberg. Un altro esempio è Shoah (1985), un monumentale documentario diretto da Claude Lanzmann che sviluppa l’intero dramma sullo stesso tema e sulla Seconda Guerra Mondiale. 

 

Dopo il flop commerciale e contemporaneo successo per la critica raggiunto con Under the Skin nel 2013, Jonathan Glazer torna alla regia con La Zona d’Interesse (2023). Un film che parla, come per i due esempi citati prima, dell’olocausto ma in una maniera differente. La pellicola è stata nominata per ben cinque candidature agli Oscar 2024, ottenendo il premio come Miglior film straniero e Miglior sonoro. Un successo che sicuramente trova fondamento nelle brillanti idee del regista, che ha saputo costruire un set perfettamente in sintonia con la sceneggiatura derivata dall’omonimo romanzo di Martin Amis del 2014. 

 

La sera del 6 marzo 2024 si è tenuta la proiezione della pellicola al Cinema Kappadue. Immediatamente dopo la fine del film, Gianluca Solla (docente di filosofia presso l’Università di Verona e fondatore di PHILM, centro di ricerca su filosofia e cinema) e Carlo Saletti (storico e presidente dell’Istituto Veronese Resistenza) hanno condotto un dibattito sull’opera di Glazer, rispondendo pure ad alcune domande del pubblico al termine della discussione. Il tutto moderato dall’editor e gestore del Circolo del Cinema di Verona, Francesco Lughezzani. 

La trama del film gira attorno al protagonista, il comandante tedesco Rudolf Höß e alla moglie Hedwig Höß (interpretati rispettivamente da Christian Friedel e Sandra Huller), a capo del campo di concentramento di Auschwitz. La particolarità sta nel luogo di narrazione: la casa del comandante, dotata di uno splendido giardino, situata esattamente adiacente al suddetto campo. Le scene sono state girate da Glazer, con la collaborazione del direttore della fotografia Łukasz Żal e lo scenografo Chris Oddy. L’intera squadra di produzione ha preso la decisione di utilizzare esclusivamente la luce naturale, e piazzare delle macchine da presa utilizzabili da remoto. Gli attori son quindi stati liberi di muoversi mentre venivano ripresi da più angolazioni. 

 

Queste peculiarità tecniche nella realizzazione del prodotto cinematografico hanno reso i messaggi della storia ancora più d’impatto per gli spettatori in sala. L’incontro e il confronto tra i due professori si è concentrato proprio su un paragone con il film Shoah e su alcuni aspetti registici. Il capolavoro di Lanzmann, secondo Solla, possiede alcune caratteristiche simili, come il confronto con la bellezza della natura. Il giardino della casa del comandante Höß è un giardino del paradiso, desiderato da tutti. La Zona d’Interesse è un film sull’idillio, dove il campo di concentramento viene contrapposto alla splendida casa dei protagonisti. Saletti considera invece che Lanzmann avrebbe giudicato come superiore il proprio docufilm, anche per alcune inesattezze storiche di Glazer come il fumo che fuoriesce dalle ciminiere. Un fatto, tuttavia, che fornisce un valore simbolico, rendendo la zona di Auschwitz un vero e proprio inferno con le sue fiamme ben visibili. 

 

Nonostante queste considerazioni, è imprescindibile effettuare un ragionamento sui due effetti scenici più importanti. Il primo riguarda l’utilizzo del sonoro, elemento che ha portato il film a vincere la statuetta Oscar nell’omonima categoria. Il professor Solla sostiene che i rumori provenienti dal campo di Auschwitz, che fanno da tappeto sonoro per tutta la durata della pellicola, fungono da elemento inequivocabile di densità. La stessa densità che riempie l’aria, piena di cenere con odori nauseanti, che non può essere percepita dal pubblico in sala. Come dichiarato dallo stesso Solla: <<In fondo l’aria è irrespirabile. L’aria, se ci pensate, è la cosa più democratica che ci sia>>. Il secondo aspetto concerne i momenti sconvolgenti realizzati con la camera termica. Ci si chiede se vi siano delle testimonianze storiche sulla possibile resistenza della popolazione polacca. Saletti risponde a questo dubbio evidenziando come nessun polacco potesse entrare nella zona d’interesse. Sono state progettate delle insurrezioni a partire dagli stessi crematori, senza alcun successo ottenuto. La resistenza era pressoché impossibile in quelle condizioni. 

 

In conclusione, La Zona d’Interesse non è un film che parla della banalità del male, poiché vediamo raffigurati soldati e persone profondamente antisemite e anti-polacche. I carnefici erano consapevoli del costo delle loro azioni. Siamo probabilmente di fronte ad una delle migliori pellicole mai realizzate su questo tema, che vi consigliamo di visionare in sala o in streaming il prima possibile. 

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