Alla scoperta di un lato nascosto di Fontana. La presentazione veronese della mostra Mani-Fattura: le ceramiche di Lucio Fontana


Di Viola Parisatto

Nel tardo pomeriggio di mercoledì 22 ottobre all’interno del teatrino di Palazzo Maffei (Piazza Erbe 38, Verona) si è svolta la presentazione della nuova mostra Mani-Fattura: le ceramiche di Lucio Fontana in corso alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia.

L’esibizione, inaugurata l’11 ottobre scorso e in conclusione il 2 marzo dell’anno prossimo, è la prima mostra monografica in ambito museale interamente dedicata alle ceramiche di Lucio Fontana. Si tratta di un’esposizione che viene finalmente proposta al pubblico dopo più di sette lunghi anni di ricerca. Tra le fragili opere che ne fanno parte, c’è anche Medusa (1938-39), una scultura in terracotta invetriata facente parte della collezione di Palazzo Maffei.

È stata la direttrice della casa-museo veronese, Vanessa Carlon, a dare una prima presentazione, introducendo anche le due ospiti protagoniste dell’evento: la direttrice della Collezione Peggy Guggenheim Karole P.B. Vail e la storica dell’arte Sharon Hecker. Quest’ultima, curatrice della mostra, parlando ai presenti si è soffermata sulla spiegazione delle sale che compongono l’esibizione delle ceramiche di Lucio Fontana. Hecker ha affermato che è come se ognuna di queste gallerie avesse una propria identità, con lo scopo principale di descrivere la poliedricità di un artista che non ha fatto che sperimentare e affinare tecniche per tutta la sua carriera.

Fontana, artista italoargentino anticonformista novecentesco, è noto a livello mondiale soprattutto per i suoi tagli e buchi su tela, ma non tutti sanno quanto il suo estro venisse riversato anche nel campo della scultura. L’esposizione veneziana vuole far vedere un Fontana diverso dal solito, svelandoci quest’ultimo lato dell’artista, e dimostrando perché la ceramica, che lo ha accompagnato per tutta la sua carriera, abbia un ruolo di rilievo. La lavorazione di questo materiale aveva per lo scultore un qualcosa in più, assumeva una valenza psicologica: era catartico mettere le mani nella creta dopo aver assistito agli orrori della Prima Guerra Mondiale. Tra una scultura e l’altra sono esposte anche fotografie di Fontana, alcune delle quali lo immortalano in una forma diversa da quella che lui potrebbe avere nell’immaginario comune: sorridente e rilassato mentre è a lavoro nella fornace di Albisola. È durante il suo soggiorno in questa città che l’artista decide di andare oltre alla classica, seppur complicata, lavorazione della creta (materiale da cui si ottiene la ceramica), arrivando a plasmare forme animalesche come serpenti, scimmie, coccodrilli e farfalle alcune delle quali esposte nella mostra, come nel caso di Farfalla (1935-36).

Lucio Fontana, Farfalla (1936-36)

Tra le diverse opere illustrate durante lo svolgersi della presentazione, due sono risaltate: Ballerina di Charleston (1926) e Torso italico (1938).

Lucio Fontana, Ballerina di Charleston (1926)

La prima è, nelle parole di Fontana stesso, la sua prima effettiva ceramica. Eppure, Ballerina di Charleston (1926) non è in ceramica, bensì in gesso: l’ipotesi della curatrice sul perché l’artista stesso la definisse così, è che lui potrebbe aver provato una tanto stretta identificazione con essa da tralasciare il fatto che questa non fosse di un materiale tanto nobile quanto la ceramica. Inoltre, Hecker ha raccontato quanto sia stata tortuosa la ricerca dell’opera, dicendo di aver passato anni a cercare la Ballerina e che, proprio quando aveva perso ogni speranza, l’ha trovata in una biblioteca privata in Italia. Ma le difficoltà legate all’esposizione di questa scultura non si sono fermate lì: tutto il peso della figura ricade sulle ginocchia e non può quasi stare in piedi, perciò è stata un’impresa trasportarla nella sede museale.

Lucio Fontana, Torso Italico (1938)

Non meno difficoltosi sono stati il trasporto e il collocamento di Torso italico (1938). Trattandosi di una scultura di 300 kg di creta sono serviti circa dieci uomini per adempiere al suo trasferimento dalla casa del collezionista da cui era custodita fino a Venezia: uno sforzo enorme. Una delle caratteristiche che rendono l’opera singolare è la presenza di un grande buco sulla parte posteriore da cui si ha uno scorcio del vuoto all’interno della scultura (tutte le sculture in ceramica sono vuote perché se fossero piene esploderebbero nel forno). Sulla corazza del Torso si possono anche notare immagini tipiche del fascismo, eppure non nella loro variante promossa dal regime, ma in delle versioni che trasmettono idee di decadenza e vulnerabilità.

È possibile che in questa fase della sua vita Fontana fosse veramente deluso dalla situazione politica italiana. Infatti, pochi mesi dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, l’artista tornò temporaneamente in Argentina affermando che l’Europa, per quanto lo riguardasse, era già morta.

La presentazione e l’illustrazione della mostra hanno avuto decisamente successo nell’arricchire i bagagli culturali dei presenti ampliando la loro conoscenza dell’artista, soprattutto le esaustive spiegazioni delle opere hanno permesso ai visitatori di canalizzare il loro sguardo e osservare con maggiore accuratezza. L’evento ha fornito ai presenti i mezzi attraverso cui navigare efficientemente le sale espositive al momento di una futura visita alla mostra alla collezione Peggy Guggenheim di Venezia.

Ascoltate la clip audio per un approfondimento sull’evento e sulle opere Ballerina di Charleston (1926) e Torso italico (1938).


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